UN NUOVO DOCUMENTO SU MICHELANGELO FLORIO
“da lieti e vaghi fior il nome prendo…”
Ho avuto il piacere di scoprire, recentemente, un nuovo documento1 su Michelangelo Florio mai venuto alla luce prima d’ora, che testimonia non solo il suo interesse per la poesia, un ambito che mai, prima di oggi, era stato citato intorno alla sua figura, ma che conferma anche le sue relazioni interpersonali con personaggi di spicco dell’epoca, come Cosimo I de’ Medici, oltre che il suo talento letterario.
Egli, infatti, scrisse una canzone per il Duca di Toscana: questa canzone inedita fu trascritta da Pietro Ricciardi, illustre giureconsulto e poeta elegante originario di Pistoia. Nato nel 1545, Ricciardi fu versatissimo nelle scienze giuridiche, e in questa materia scrisse varie opere 2. Come poeta scrisse alcuni sonetti in morte di Cosimo I Gran Duca di Toscana, un raro opuscolo pubblicato per Giunti nel 1574, Sonetti in morte del sereniss. Grand Duca ti Toscana, vari sonetti 3 e una lunga canzone sopra la città di Pistoia 4.
Appassionato di letteratura e di poesia, Ricciardi trascrisse di sua mano un volume intitolato Scelta di rime di diversi non più date in luce e raccolte per me. Questo manoscritto, con legatura in pergamena floscia, è conservato oggi nella biblioteca Forteguerriana su scaffale B 175, insieme ad altre poesie manoscritte dello stesso autore con la stessa grafia. Quest’opera contiene diverse rime di tantissimi autori, alcuni conosciuti come Francesco Petrarca, Annibal Caro, Rodomonte Gonzaga, Luigi Alamanni, Bernardo Tasso, e molti altri. Fra questi, troviamo anche Fra Paolo Antonio, lo stesso nome che Michelangelo Florio si era conferito girando l’Italia come predicatore 5 . Il componimento attribuito a fra Paolo reca il seguente titolo: “Canzone a Cosimo de Medici Creato Duca di Firenze.” In effetti con Cosimo I de’ Medici, Michelangelo Florio ebbe un rapporto di fiducia, oltre che di lavoro. Difatti, quando Michelangelo fu arrestato per eresia tra il Gennaio-Febbraio del 1548, si stava recando da Firenze a Napoli per predicarvi la Quaresima su invito di Cosimo stesso. Dopo l’incarcerazione, Cosimo de Medici scrisse una lettera all’ambasciatore fiorentino Averando Serristori, dando istruzioni in favore di Fra Paolo Antonio che “si trova in torre di nona costà [a Roma] prigione [prigioniero] 6”. Florio, dalle terribili carceri, espose nelle sue lettere a Cosimo il suo tristissimo stato, implorando il suo aiuto7. Riuscì, infine, a scampare alla morte mettendo il Duca di Firenze in guardia per una lettera che sarebbe girata in Tor di Nona, nella quale si sarebbe programmato un attentato contro la sua famiglia. Cosimo, preoccupato, si attivò coinvolgendo il Cardinale Juan Álvarez de Toledo, ed infine Florio riuscì a salvarsi.
Lo stesso Pietro Aretino pubblicò nel 1548, nel Quarto Libro delle sue Lettere, una lettera dedicata ad un frate inquisito per eresia e incarcerato in Tor di Nona, che testimonia l’amicizia e l’ammirazione che Aretino aveva nei confronti di Fra Paolo Antonio, alias Michelangelo Florio8. Se tale attribuzione dovesse rispondere al vero, avremmo per la prima volta la testimonianza che questo personaggio, noto finora come traduttore, oltre che predicatore, svolse anche un’attività poetica.
Non essendoci una data né sul manoscritto, né sulla canzone, non è dato sapere l’anno esatto della sua composizione 9. Pur ammettendo che, in quel periodo di tempo, potrebbero essere esistiti altri frati che portavano il nome di Paolo Antonio, i rapporti di conoscenza e di amicizia che legarono l’autore della canzone a Cosimo de’ Medici rappresentano forti indizi per attribuire questa canzone a Michelangelo Florio.

Inoltre, a mio avviso, esistono significative corrispondenze fra lo stile dell’autore della Canzone a Cosimo de’ Medici e quello di Michelangelo Florio, come ad esempio, l’utilizzo della figura retorica della copia, consistente nell’amplificare un concetto attraverso l’utilizzo in successione di tre, quattro parole sinonimiche (para-semantiche); altra figura retorica utilizzata dall’autore di frequente è l’enumeratio, che consiste nel congiungere una serie di parole o sintagmi tramite asindeto o polisindeto. Com’è noto, il medesimo stile “abbondante” e “floreale” fu trasmesso da Michelangelo al figlio John, che ne fece un vero e proprio marchio di fabbrica, e con il quale ancora oggi viene ricordato con la sua straordinaria traduzione dei Saggi di Montaigne.
All’interno della canzone, é anche possibile trovare alcuni termini che fanno parte del lessico utilizzato da Michelangelo nelle sue opere: ad esempio, “scorno”, presente sia nelle lettere scritte nel carcere di Tor di Nona 10 , nella sua Apologia 11, come nel libro su Lady Jane Grey 12.
Infine, a fornire una prova, a mio parere, certa e definitiva, per quanto concerne l’identificazione di Fra Paolo Antonio con Michelangelo Florio, sarebbe l’autore stesso della Canzone, che al verso sessantaquattro sembrerebbe proprio volersi riferire al proprio nome civile: “da lieti, e vaghi fior j’l nome prendo13.”
Di seguito è possibile leggere la trascrizione dell’intera canzone che ho provveduto ad interpretare e trascrivere, con annessa analisi testuale/stilistica.
Canzone a Cosimo de Medici
Creato Duca di Firenze
di Fra Paolo Antonio

Spirto Real che qui dal terzo giro 14
venisti sol per mia salute, e pace,
cogni pensier fallace
Di chi m’odia rompesti, j chiari lumi
Volgi benigno ad Arno mio che tace,
Con cenno gentile ‘l bel desiro
suo qui t’apporta, e io miro
Che’l Cielo mercede à monti, colli, e fiumi
unqua15 non nega ond’ei par che s’allumi
Merce del chiar’ ch’jin te regna, e soggiorna
Ferma la speme sua, fugga ‘l timore
scaccia il dubbio, e l’errore
l’jngorda sete, e l’empia voglia scorna
di chi turbido16 ‘l brama, Si ch’à fondo
Col tuo soccorso giri tutto il mondo.
L’antica spene17 che rimase incolta
nel pietoso sparir del primo Duce
al chiar de la tua luce
El desir, el piacer suo rassicura
la fé malconosciuta si traluce,
Hor nel mio petto lieta, e in sé raccolta
Che savis herba stolta
qual grave error per mie disaventura
jlver mi nascondea qual ombra oscura
Sì lieto viver mi tenea celato
Dice ella; ed io che tanto ben conosco
Al bel paese Tosco
Beato quel, ch’a si bel tempo è nato
Canto ad ogn’ hor, poi che Cosimo regge
la bella Etruria con sue sante legge
El grande Angel, che sotto l’ali copre
Dal centro al cerchio estremo d’ogni jntorno
Con tranquillo soggiorno
La terra, e l’acque, e col muover dell’ali
Spaventa ogn animal nel petto adorno;
Per sua gloria maggior tal hor di scopre
el bel nome, e di sopre
Al cielo volando tra genti jmmortali
Con occhio fiso se bellezze uguali
jvi trovasse solo attende, e mira
Al nome chiar, che nel suo petto siede
D’jindi veloce riede
quagiù tra noi, pien di dolcezza, e d’ira
e con cenno soave ne dimostra
che simil Duce mai fu à l’età nostra
De suoi Publj e Camilli
l’antica età de Bruti, e de Metelli
De Catoni e Marcelli18;
Ma qual di te signor dite più fida scorta
stebbe il Mondo giamai, che ne capelli
Del nemico la mano ardita, e scarcha19
Ponga, nunqua sua pianta
H(a)rca20 del dritto, ond’io già quasi morta
Nella semenza del mio mal, risorta
Vivo mi lieta, e più perir non spero
Per tua merce che mi sei Padre, e figlio
Ne l’empio, e fero artiglio
Di genti strane io temo, aspro e severo
Ne già sia mai, mentre ch’io ho voce, o lingua
Che jn me la speme, ò il nome tuo s’estingua.
Io son de gli Avi tuoi l’antica Madre,
e del paese Tosco anzi Regina,
che per cagion Divina
Da lieti, e vaghi fior j’l nome prendo21
Ecco signor con humiltà s’inchina
A te la gente mia, ecco le squadre
vaghe, honeste e leggiadre
De fanciulli, de vecchi, che fuggendo
dal vaneggiar antico, tutti ardendo
nel desir novo di tua eterna Prole
S’odon cantar con lieta voce, pia:
Sgombra ‘l dubbio, e oblia
el pianto Etruria, e di rose, e viole
vesti le membra tue, ch’jin Cosmo segno
s’attende sol d’un bel perpetuo regno.
Basta a me hor che negli honori, e pregi
Sperai del mio signore, e ne bei raggi
Del sol, ch’a pensier saggi
Per mio ben porge, e a lui felice palme,
si che lontan ne luoghi hermi 22, e selvaggi
tosto ritornerà Principi e Regi
eccelse opre et egregi
e della bella sposa altera et alma
di Cosmo usciti, e beata quel Alma
che Cosmo duce chiamerà per sempre
perch’ei le greggi, erranti e in disparte,
con bel costume, et arte
chiama l’suo ovis, ove chi vuol, con sempre,
Virtide, gran valor, bonta jnfinita,
Onde salvar porrà ciascun’ sua vita.
Da te signor non sia mai chi mi scioglie
ò del giògo soave, dolce honesto
Dal sommo empio, e molesto
Poich’io ricorsi, e lieta hor vivo, e godo:
A Marte l’armi, et il vestir funesto
rendo ala Morte, e di fior, fronde e foglie,
onde riso s’accoglie
jo vesto il nudo mio, e ‘l Cielo ne lodo
Ch’a te m’avvinse con perpetuo nodo:
Chi sgombra Arno le dannose some23
e al superbo Tirreno accena ch’io
Merce del Duca mio
Piu ch’altra Donna di felice hò nome;
Ne fia cagion fortuna, empia e superba
jopera mai, ch’eterna jl Ciel mi serba.
Corri tosto coll’altre rozze mie
Ch’an da aggiungere al Duca mio Canzone
si ch’oda ma ragione,
E s’intorno ti son chiuse le vie
Piacessi a j venti al men di raportarli
Che di lui sempre penso ò scriva, ò parli.
“La Canzone di Michelangelo Florio a Cosimo de’ Medici” di Marianna Iannaccone è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@resolutejohnflorio.com.
Notes:
- Dedico questa ricerca a Silvano Porta, per il suo grande aiuto e costante supporto. Un ringraziamento va anche alla signora Angela Bargellini della Biblioteca Forteguerriana, che in questi tempi difficili mi ha gentilmente aiutato anche a distanza.
- Commentaria in subtiles et almodum illustres materias de Bonorum possessionibus, de legatis et de legator, ademptione, Carmagnolae, apud Marcum Bellorum (1586) “Commentaria in subtiles ac illustres materias de obligationibus.” (1593) “Commentaria ec. De Testamentis ordinandis” (1600) “Commentaria de Usufructis et de Usucapionibus” (1600)
- Rime di Pietro Ricciardi, sec. XVII, in Inventari dei mss. delle Biblioteche d’Italia, Forlì, Casa Editrice Luigi Bordandini, 1891, Vol. I
- Ricordi storici di Piero Ricciardi, 1558-88. Poesie del med., Discorso di G. B. Tedaldi sulla città di Pistoia, Ivi.
- Castellina, Paolo, La vicenda di Lady Jane Grey, Società biblica di Ginevra Editrice, ed. II, 2009.
- Carcereri, Luigi, L’eretico Fra Paolo Antonio Fiorentino e Cosimo De’ Medici (1548~’49), Archivio Storico Italiano, vol. 49, no. 265, 1912, pp. 13–33, p. 28
- Ibidem
- La lettera é datata Aprile 1548, indirizzata a“Frate Pavolo Antonio” (alias Michelangelo Florio), è leggibile nel Quarto Libro delle Lettere di Aretino, pubblicato nel 1550 a Venezia; si veda l‟edizione in Parigi del 1609, p. 207
- La parola “Creato” fa presumere che la canzone fosse stata scritta nel momento in cui Cosimo divenne Duca, ovvero nel 1537. Se fosse davvero questa la data in cui la canzone fu composta, Michelangelo Florio all’epoca aveva diciannove anni. La mia ipotesi, però, è che la canzone sia effettivamente la descrizione di un quadro di Cosimo I de’ Medici intitolato “Trionfo di Cosimo I de’ Medici a Montemurlo” di Vasari Giorgio/Van der Straet Jan detto Giovanni Stradano del 1558. Il soggetto celebra uno degli episodi fondamentali della vita politica del duca. Descritto dal Vasari nei Ragionamenti, l’episodio fu dipinto dallo stesso Pietro Aretino che probabilmente affidò la realizzazione di alcuni ritratti al fiammingo Giovanni Stradano. La lunga documentata amicizia tra Aretino e Florio mi ha portato ad ipotizzare che la canzone sia la descrizione del quadro sopra citato, sullo stile di Aretino che con i suoi sonetti ha descritto i quadri di Tiziano: “Lo Aretino non ritragge le cose men bene in parole che Tiziano in colori; e ho veduto de’ suoi sonetti fatti da lui d’alcuni ritratti di Tiziano, e non è facile il giudicare se li sonetti son nati dalli ritratti o li ritratti da loro”, Sperone, Speroni, Dialogo d’amore, in Trattatisti del Cinquecento, cit., pp. 511-563 (547-548).
- “Et per quella sua solita cortesia et bontà non manchi aiutare un suo servitore fidelissimo, che si truova con perpetuo scorno et danno incarcerato per non manchare d’ubedire a lei.” Dalla prigione di Torre di Nona in Roma, 9 Aprile 1548, Fra Paolo Antonio, frate guardiano di Santa Croce, a Cosimo de’ Medici, Archivio Mediceo, filza 387, fol. 59, in Fra Paolo Antonio Fiorentino e Cosimo de’ Medici, di Luigi Carcerieri, in Archivio Storico Italiano, Quinta Serie, Tomo XLIX, Firenze. 1912.
- “[…] Io stesso contandole un giorno gl’oltraggi, gli scorni, et i tormenti ch’in roma per lo spazio di XXVii mesi, sotto Paolo, et Giulio iii sofferti haveva..” Apologia di Michel Agnolo Fiorentino, ne la quale si tratta de la vera e falsa chiesa. De l’essere, e qualità de la messa, de la vera presenza di Christo nel Sacramento, de la Cena; del Papato, e primato di S. Pietro, de Concilij & autorità loro: scritta contro a un’Heretico. Da Soy, il di IIII. Di Settembre. M.D.LVI., p. 27
- “O compagne fedeli dei miei dolori, degli scorni e delle pene, perché con il vostro pianto mi affliggete voi?” Historia della vita e della morte di Giovanna Graia, già regina eletta e pubblicata d’Inghilterra, e delle cose avvenute in quel Regno, dopo la morte di Eduardo VI, Stampato presso Riccardo Pittore, 1607, Venezia, p. 61
- Verso 64
- Riferimento a Dante. Nel trattato II del Convivio in cui è commentata la canzone Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete, Dante espone la declinazione dei Cieli e delle intelligenze angeliche preposte al loro movimento; “Nove ordini di creature spirituali la Chiesa tiene e afferma. Lo primo é quello degli angeli, lo secondo degli arcangeli, lo terzo dei Troni.” Qui Michelangelo Florio colloca Cosimo dei Medici nel terzo giro dei Troni
- Ùnqua (o ùnque) lat. ŭnquam
- Turbido, torbido, Florio, John, A Worlde of Wordes, or, Most copious, and exact dictionarie in Italian and English, 1598
- Variante di “speme”
- Riferimento ad antiche famiglie nobili Romane
- Sic per “scaricha”
- Sic per “harca”, arca
- Chiara allusione al nomen di Florio.
- hermi,ermo, forma sincopata di eremo
- Petrarca recita “Sgombro da te questo dannose some”, Canzoniere, 128, v. 75