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Second Fruits è il secondo lavoro di John Florio. Intitolato Second Frutes to be gathered of twelve trees, of diverse but delightful tastes to the tongues of Italian and English (1591), è stato pubblicato tredici anni dopo la pubblicazione dei First Fruits, ed è un lavoro tra i più interessanti di quel periodo.

SECONDI FRUTTI


“Per quanto mi riguarda, perché sono io, e io sono un inglese in italiano; So che hanno un coltello a comando per tagliarmi la gola, Un Inglese Italianato é un Diavolo Incarnato.”


¶ SECONDI FRUTTI

UNA NUOVA MODA LETTERARIA

I Second Fruits di John Florio sono stati pubblicati durante il periodo più fertile della letteratura Elisabettiana. Come al solito, Florio si trova in contatto con circoli interessanti e brillanti, e I Second Fruits è un’opera all’avanguardia che cerca di soddisfare le esigenze della nuova moda letteraria di primi anni ’90 del 500. La dedica dei Second Fruits è a “Master Nicholas Saunder of Ewel” al quale Florio sembra essere in debito per la benevolenza e bontà mostrategli mentre si trovava ad Oxford e poi a Londra. Florio sostiene che il suo monumento, Second Fruits, renderà immortale “il suo valore”:

“Certamente io non posso né dimenticare, né nascondere, le rare cortesie che mi avete garantito ad Oxford, le offerte amichevoli e la grande libertà (sopra la mia speranza e il mio merito) proseguita a Londra, dove a voi mi avete legato velocemente per portare una doverosa e grata osservanza verso di voi mentre vivo, e per onorare quella mente, da cui, come da una primavera, tutte le vostre amicizie e bontà sono sgorgate: E quindi per darvi qualche certa rassicurazione di una mente grata, e della mia devozione professata, ho consacrato questi miei esili sforzi, interamente per la vostra gioia che sta come un’immagine e un monumento della vostra dignità ai posteri.”

SECONDI FRUTTI: LA “SECONDA FIGLIA” DI FLORIO

La sua affermazione nella Dedica che i First Fruits e i Second Fruits sono le “figlie e discendenti delle mie cure e del mio studio” è significativa. Procede con la metafora affermando che la più grande (First Fruits) dato che era ambiziosa “l’ho fatta sposare per la preferenza e per l’onore”, ma questa più giovane (Second Fruits) è “migliore, più matura e più piacevole della prima”. E dato che è “piu’ bella, meglio nutrita e piu’ simpatica di sua sorella”, spera che sarà meglio accolta e apprezzata di quanto non fosse stata First Fruits.

DISCORSI PROVERBIALI

Poi conclude discutendo del discorso proverbiale, e di quanto “aggrazia un significato saggio, e come probabilmente inneschi un buon concetto”:

“….E così, come naturalmente gli Italiani si compiacciono con tali discorsi materiali, brevi e arguti (che quando essi stessi sono fuori d’Italia e tra estranei, che pensano di aver imparato un po’ d’italiano dal Cortigiano di Castigliano, o dai dialoghi di Guazzo, finiranno per dimenticarlo o trascurarlo e parlano scolastico, e non come fanno tra di loro perché sanno che i loro proverbi non sono mai usciti fuori dalle Alpi) non si vendono se non con gli aforismi concepiti, o Imprefe, che non sono mai alla portata di una testa sterile o volgare.”

Secondo Frutes, Londra, 1591. Stampato per Thomas Woodcock.

LETTERA DEDICATORIA: ROBERT GREENE & THOMAS NASHE

L’epistola dedicatoria è uno “schizzo particolarmente completo della pubblicazione attuale nei vari campi del giornalismo, della poesia e del teatro”. 1 C’è prima un riferimento a Greene’s Mourning Garment (1590). Poi difende la passione per le “notizie”. Era stato infatti coinvolto nella pubblicazione di opuscoli giornalistici, di cui ‘A letter lately written from Rome’ è stata pubblicata nel 1585 quando si trovava presso l’ambasciata francese. Poi c’è un’allusione a una delle opere recenti di Lyly, Endimion, The Man in the Moone; a Thomas Nashe, che nel 1591 pubblicò A Wonderfull, strange and miraculous, Astrological Prognostication for the year of our Lord God; a John Doleta che nel 1586 profetizzò Straunge Newes out of Calabria che l’anno successivo avrebbe portato eventi strani e orribili. C’è anche un’allusione a Groats-worth of Witte, bought with a million of Repentance (1592), in particolare quando Greene menziona un’opera chiamata The Twelve Labours of Hercules.

MARTIN MARPRELATE

John Florio cita anche la controversia di Martin Marprelate, una guerra di opuscoli in cui il sedicente ‘Marprelate’ attaccò i vescovi della Chiesa d’Inghilterra come “piccoli papi” e a cui Thomas Nashe aveva preso parte, rispondendo ad almeno un opuscolo intitolato “An Almond for a Parrot”. Coniando la frase ‘Amadysing and Martinising‘ nella lettera dedicatoria, Florio si riferisce sia a Thomas Nashe che al gruppo di studenti dell’Università per attaccare lo stile di questi opuscoli.

UN UOMO INGLESE ITALIANATO

L’Epistola al lettore dei Second Fruits dimostra che Florio aveva recentemente ricevuto critiche negative a causa delle sue simpatie Italiane:

“Per quanto mi riguarda, perché sono io, e io sono un Inglese in Italiano; So che hanno un coltello a comando per tagliarmi la gola, Un Inglese Italianato é un Diavolo Incarnato

.”

I CANTI DELLE SIRENE D’ITALIA

Definendosi un Inglese Italianato, John Florio scrive una duplice difesa della cultura italiana in Inghilterra e della pratica della traduzione. Scrive anche un elogio della conoscenza dell’italiano da parte della regina Elisabetta, e un succinto della convinzione di Florio nel trattare i proverbi come un mezzo per facilitare il linguaggio colloquiale e idiomatico. “To the Reader” offre una risposta appassionata al celebre proverbio italiano che descrive l’effetto apparentemente pernicioso che il paese ha su molti dei suoi visitatori inglesi. Il proverbio “Un Italiano é un diavolo incarnato” fu introdotto in Inghilterra in The Scholemaster di Roger Ascham (1570), dove ai giovani gentiluomini inglesi veniva dato un severo avvertimento sui pericoli di esporsi ai canti della Sirena d’Italia. 2Ascham ha dato un importante esempio di questa campagna anti-cosmopolita, grazie alla sua descrizione del viaggiatore in Italia come:

“Un mostro prodigioso, che, per sporcizia di menzogna, per ottusità a voler imparare da solo, per il modo in cui tratta gli altri, per malizia nel ferire senza motivo, dovrebbe essere rappresentato in un corpo solo con la credibilità di un Maiale, la testa di un Asino, il cervello di una volpe, il grembo di un lupo.”

Roger A., The Scholemaster, London, John Day, 1570, online source http://darkwing.uoregon.edu/~rbear/ascham1.htm

CHI DIAVOLO TI HA INSEGNATO TANTO ITALIANO?

Nella lettera, John Florio risponde anche direttamente a Thomas Nashe che è stato uno dei contemporanei di Florio che ha criticato i giovani nobili inglesi che viaggiavano in Italia e tornavano non solo esperti nella lingua e nella cultura, ma apparentemente anche nei vizi e nella perdita di morale che avevano incontrato lungo il tragitto:

Non ti piace la lingua? Perché la parlano solo i migliori, e Sua Maestà meglio di tutti.

Florio ricorda anche i grandi e i buoni della storia che hanno fatto dell’apprendimento delle lingue una virtù:

“Mitridates è stato riferito di aver imparato tre e venti lingue diverse, ed Ennius di avere tre cuori perché sapeva tre lingue, ma mi pare che tu non abbia un solo cuore sano, ma uno che è pieno di invidia; né hai una lingua, ma una lingua biforcuta, tu sibilli come un serpente.”  

Cita anche il racconto di Nashe sulla volpe e la capra al pozzo quando ricorda ai suoi lettori tutta la buona letteratura per farsi strada in Inghilterra attraverso traduttori del passato quando dice:

“Se non avessero conosciuto l’italiano, come l’avrebbero tradotto? Se non l’avessero tradotto, dove l’avrebbero letto? Meglio bere dalla bocca del pozzo che sorseggiare dal ruscello infangato”. 

IOHANNES FLORIUS, IL RISOLUTO

Un’osservazione particolarmente eloquente in tutto questo è la stessa dichiarazione diretta “Ora, chi diavolo ti ha insegnato tanto italiano?”, che suggerisce che Nashe potrebbe, un tempo, essere stato tra gli allievi di Florio al St. John’s College. Un altro contemporaneo al St. John’s, che certamente fu tra gli allievi di Florio, fu Gabriel Harvey che, insieme a suo fratello, intraprese una simile battaglia letteraria con Thomas Nashe.  L’epistola al lettore termina con un tono estremamente combattivo, firmandosoli, Resolute Iohannes Florius.

FETONTE

La Lettera Dedicatoria mostra che Florio sapeva che i suoi Second Fruits erano un lavoro provocatorio, e qui per la prima volta si firma con l’aggettivo che si attaccherà per il resto della sua la vita e anche dopo la morte: Resolute John Florio. Risoluto. A differenza del suo precedente manuale, Second Fruits di Florio è preceduto da un unico sonetto: Phaeton to his friend Florio. Ciò che è di grande importanza per questo sonetto è che è uno dei primi sonetti elisabettiani ad essere stampati:

Sweet friend, whose name agrees with thy increase
How fit a rival art thou of the spring!
For when each branch hath left his flourishing,
And green-locked summer’s shady pleasures cease,
She makes the winter’s storms repose in peace
And spends her franchise on each living thing:
The daisies spout, the little birds do sing,
Herbs, gums, and plants do vaunt of their release.
So when that all our English wits lay dead
(Except the laurel that is evergreen)
Thou with thy fruits our barrenness o’erspread
And set thy flowery pleasance to be seen.
Such fruits, such flowerets of morality
Were ne’er before brought out of Italy.
Phaeton to his friend Florio

Inoltre, è pubblicato nei Second Fruits, un libro in lingua italiana che contiene una moltitudine di materie prime per chi scrive i sonetti. È possibile che Florio soddisfi ancora una volta una richiesta, come ha fatto nel suo precedente lavoro nel caso degli Eufuisti.

¶ SECOND FRUITS, I TEMI: GIORNALISMO, POESIA E TEATRO.

Florio aveva il raro genio di catturare lo spirito del periodo in cui stava scrivendo – i gusti letterari, la moda e i pettegolezzi. 3 In questo caso, i Second Fruits si rivolgevano intenzionalmente alla fascia più letteraria e intellettuale di coloro che erano interessati all’apprendimento delle lingue straniere. Florio si muoveva sempre tra i circoli più aristocratici, e ci si aspetterebbe naturalmente che i suoi libri riflettessero questa atmosfera. In questo contesto, è importante notare che John Florio non si è intenzionalmente prefissato di diventare insegnante di lingue. Inevitabili somiglianze a parte, si differenzia molto da Hollyband, Saravia, Stepney e decine di altri rifugiati protestanti che hanno fatto scuola a Londra nel XVI e XVII secolo. I suoi libri di lingua non erano per bambini delle scuole o per i principianti nella lingua come lo erano quelli di Hollyband, e fornisce opportunamente proprio il tipo di materiale che avrebbe fatto appello agli scrittori di sonetti: discussioni sulle donne, la bellezza e l’amore.

VITA DI CORTE

Inoltre, lo scopo del suo lavoro non si ferma al discorso educato, ma è stato progettato anche per insegnare una bella scrittura e uno stile letterario ben definito. Al posto di preghiere, lunghe tirate sulla moralità e tesi dottrinali che si trovano nei First Fruits e in altri manuali di lezione di lingua Elisabettiana, i dialoghi teatrali dei Second Fruits riguardano principalmente le occupazioni della vita di corte e interessi dei circoli più nobili. Contrariamente al primo manuale, ora in Second Fruits i dialoghi teatrali hanno personaggi diversi con nomi prefissati nel titolo di ogni capitolo. Comprensibilmente, i dialoghi di Florio hanno catturato l’attenzione degli studiosi, che spesso commentano la natura teatrale di questi dialoghi. Nel suo studio delle prime relazioni anglo-italiane moderne, Michael Wyatt riconosce una “struttura teatrale” nei dialoghi bilingue di Florio 4. In questo contesto, è importante fare la differenza tra Florio e altri insegnanti di lingue. Florio, infatti, non ha scritto un libro elementare per i bambini di scuole; mirava piuttosto agli interessi dei “gentiluomini” e della nobiltà. Il professor Spampanato ha definito bene questo atteggiamento:

“Poiché tratta di armi e cavalli, di divertimento, di nobiltà e di amore, di banchetti, di giochi e viaggi, i Secondi Frutti possono per molti aspetti appartenere alla letteratura cortigiana che ancora fioriva in Italia verso la fine del Rinascimento.”

Vincenzo Spampanato. John Florio, Un Amico del Bruno in Inghilterra

SECONDO FRUITS: DIALOGHI

Second Fruits enfatizza le frasi e i proverbi popolari italiani nel contesto dei dialoghi relativi alle azioni quotidiane. Ci sono discussioni di scherma, tennis, critica letteraria e traduzione. Ci sono allusioni a St. Paul’s, Paul’s Wharf, London Bridge, il London Exchange, e le strade e parchi della città. Si parla della regina, Bruno, Sidney, Spencer, del conte Southampton e di altri. Il capitolo 6 contiene “molti complimenti familiari e cerimoniali” per l’uso particolare del viaggiatore all’estero con allusioni alla moda del viaggio italiano, del viaggiatore infelice e della nuova classe Italo-Inglese. Il personaggio di Stefano dà saggezza mondana al viaggiatore neofita Pietro.

PETRARCHISMO E ANTI-PETRARCHISMO

Il capitolo 12, con le sue 40 pagine di dialoghi teatrali, è una sorta di compendio di discussioni sull’amore e sulle donne, sia a favore che contro tra Pandolpho, Silvestro, Nicodemus e Dormiglione. Il capitolo si apre con queste parole:

P. “Compagni, questa notte sarà serena, e per la luce della luna, e delle stelle commoda da far la guardia.”

Florio divide i personaggi in due gruppi, femministi e anti-femministi. E mentre le stelle brillano e la notte scorre veloce, i protagonisti si intrattengono l’un l’altro con una pioggia di proverbi e detti triviali su questo argomento:

Se la donna fosse così picciola come é buona,

Il minimo bacello le farebbe una veste & una corona,

& *rendono più frutto donne, asini, e noci,

a chi ver loro ha più le mani diroci. &

minor pena Tantalo pate nell’inferno,

che non fa chi sta di donna al governo.

*Se per forte se ne trova una che ami, si può dir esser miracolo, e

miracoli non duran che nove giorni: e se la donna ama, lo fa per novità, cioè una volta in sette anni, & il suo amor si cambiano le nuvole d’estate, e però si dice che

*l’amor di donna lieve é come vin di fiasco,

la sera é bono e la mattina é guasto,

Di donna é e sempre fu natura,

Odiar chi l’ama e chi non l’ama cura.

E però sono paragonate alla morte, la quale

*segue chi la fugge, e chi la fugge, chiama. alle ortiche

*che pungono chi la tocca leggiermente,

ma non offendono chi la preme. Son simili a cocodrilli,

*che per prender l’uomo piangono, e presto lo divorano.

*chi le fugge seguono, e chi le segue fuggono.

*O come la bilancia, che pende dove più riceve.

*O come il carbone, il quale o tinge o brucia.

*O come il molino a vento, che macina secondo il vento.

Siluestro tira fuori la sua parte dell’argomento prendendo spunto dalla mitologia, o con citazioni prese da Petrarca:

Se mi bramate con la logica, io vi colpirò con la Grammatica, ditemi per vostra fede *il vitio non é egli maschio, e la virtù non é lei femina? I letterati non s’invaghiscono delle Muse? E i nobili non seguono essi le gratie? Non perché Muse, non perché Gratie, ma perché Femine.

La Fenice che é unica al mondo é femina. La Natura attissima ad ogni perfettione é femina, come altresì la sua imitatrice é l’Arte. La maestra, o più tosto regente, anzi fondatrice delle buone arti, cioè Minerva, che sola fra tutte le altre nacque da uomo, e non da donna, nè dalla costa dell’uomo ma dal cerebro e senno dell’altissimo Giove, non é ella donna? Donna dirò o Dea? Dea certa perché così fatte donne meritatamente si debbono dir Dee, le quali per la loro eccellentia sono state Deificate, come Diana per la sua castità, e Cerere per la tanto necessaria agricoltura.

Pandolpho sottolinea che questo è idolatrico:

Il buono é che il vostro credo non si canta in chiesa, & che la vostra voce non entra in paradiso, & a me non entrerà mai nel capo, né nel credo. Io credo in Dio, e non nelle donne…..

Il riferimento a Philip Sidney, al petrarchismo e all’anti-petrarchismo di Giordano Bruno è evidente. Inoltre, le molte allusioni classiche e mitologiche, similitudini, metafore, proverbi ed eufuismo convenzionale di questo capitolo rendono il libro una sorta di tesauro per poeti d’amore e scrittori di sonetti.

S. Voi uscite dei gangheri signor mio. Amor’è il nipotino della natura, e primogenito di madonna beltà, e di diletto suo marito.

P. Pian barbier, piano. Ora si che siete fuori del seminato, non più di gratia. La sua avola (come dice Seneca) fu la Pigritia, la sua madre Povertà, come vuol Platone, Erebo suo padre, come afferma Luciano, o Argo, come racconta il Sig. Philippo Sidneo nella discendenza di esso, o Dio per me ve lo dica, perché chi altri vi saprebbe dire chi abbia privato nel commune.

S. Anzi, se i nomi fanno il conto. Amore é il castellano dell’universo, come dice Orpheo, no solamente il più antico, come racconta Hefrodo, ma egli é lo Dio dei Dei, come il buon Tasso mette nel suo credo; prendendo da Marte la spada, a Nettuno il tridente, a Giove il fulmine, (s’io non mi inganno) da Omero il verso,da Hercole la mazza toglie. Egli come dittatore dispone del tutto, e chi puote se non lui? Egli come Platone non vorrebbe nè quel mio, nè quel tuo nella sua Repubblica. Et egli stesso vuole che la Penuria gli sia madre, perché non ha ciò che ricerca, e che Poro (cioè dovitia figliuolo del consiglio) gli sia genitore; imperoche mai gli manca quel ch’egli ama, e come egli dipinge in quel suo libro un bestiale, volgare, e voluttuoso amore, così altresì vi dichiara un amore celeste, autore, donno, e conservatore di tutte le cose: e per finirvela in poche parole *Amor può tutto, & il tutto amor mantiene.

La letteratura anti-femminista del Medioevo e del Rinascimento si riflette anche nelle parole di Pandolfo:

P. Le donne sono il purgatorio della borsa,il paradiso del corpo; e l’inferno dell’anima.

Le donne sono sante in chiesa; angeli in strada; diavole in casa;

Sirene alla finestra; gazze alla porta; e capre nei giardini.

Al contrario, c’è una discussione sulla bellezza femminile nel capitolo otto quando James descrive le “parti del corpo che una donna dovrebbe avere più giuste”:

I. La donna che vuol essere detta bella sopra tutte le bellissime, Conviene aver trenta cose, per le quali viene celebrata Elena.

Ttre bianche, tre negre, tre rosse, tre corte, tre longhe, tre grosse, tre sottili, tre strette, tre larghe, e tre picciole.

Le bianche sono i denti, le mani, e la gola.

Le negre sono, gli occhi, le ciglia, e i peletti c’ascondono diletto.

Le rosse sono, le labbra, le guancie e i capitelli delle mammelle.

Le longhe sono le gambe, le dite e i capelli.

Le corte sono i piedi, le orecchie e i denti, ma con misura.

Le larghe sono la fronte, il petto e i fianchi.

Le strette sono le coscie, le groppe, e il ventre.

Le sottili sono le labbra, le ciglia e i capelli.

Le picciole sono la bocca, nel traverso, o le pupille degli occhi.

E chi manca alcuni di queste non può vantarsi d’esser bella, ma chi tutte le possiede, si può dir bella in ogni perfettione.

Venetia, chi non ti vede non ti pretia, ma chi ti vede ben gli costa.


SECONDO FRUITS: PROVERBI & GIARDINO DI RICREATIONE

I proverbi erano una caratteristica abituale della maggior parte dei libri di lingua elisabettiani, ma in nessun manuale hanno svolto un ruolo così importante come nei Second Fruits. I proverbi del libro sono, infatti, sottolineati con quelli pubblicati in un lavoro corollario di Florio, il Giardino di Ricreatione: seimila proverbi italiani, senza i loro equivalenti inglesi. È una delle più importanti pubblicazioni di questo tipo. Il titolo in sé è interessante: Giardino di ricreatione, nel quale crescono fronde, fiori e frutti, vaghe, leggiadri e soavi; sotto nome di auree sentenze, belli proverbii, eti riboboli, tutti Italiani, colti, scelti, e scritti, per Giovanni Florio, non solo utili ma dilettevoli per ogni spirito vago della Nobil lingua. Il numero d’essi é di 3400. I proverbi dal lato italiano dei dialoghi sono indicati con un asterisco per indicare che sono elencati tra i seimila proverbi italiani raccolti nel Giardino. Florio attribuisce un grande valore ai detti popolari come mezzo per gli uomini nelle loro conversazioni per esprimere concetti:

“I proverbi sono il simbolo, la caratteristica, la dimostrazione, la purezza, l’eleganza, le più frequenti così come le più lodevoli frasi di una lingua.”

Florio si sforzò in particolare “di trovare la materia per affermare quelle parole e frasi italiane che non hanno mai visto le montagne degli Albioni (antico nome della Gran Bretagna)”. Eppure, i proverbi utilizzati nei Second Fruits sono stati selezionati in modo particolare cioè quelli che potrebbero essere tradotti dall’italiano all’inglese senza sforzo o perdita di significato. Infine, i Second Fruits dovrebbero infatti classificarsi come un contributo al giornalismo d’attualità del periodo elisabettiano: Florio ha dedicato un intero capitolo alle discussioni di “notizie”, “mezzi”, “racconti”, rapporti scritti, stampate “lettere”, voci e scandali. I Second Fruits, quindi, possono stare insieme agli opuscoli di Nashe, Harvey e Greene come uno dei primi esempi di giornalismo.

La calligrafia italiana di John Florio nel manoscritto di “Giardino di Ricreatione”.


SECOND FRUITS: GIORDANO BRUNO

Second Fruits contiene molti ricordi del filosofo Nolano, Giordano Bruno, e le esperienze che Florio aveva condiviso con lui presso l’ambasciata francese. Nel primo dialogo scrive un dialogo tra Nolano, Torquato e Ruspa. I nomi che Florio dà ai relatori in questo dialogo richiamano deliberatamente Bruno e La Cena de le ceneri. Torquato e Nundinio non sono solo citati per nome, ma caratterizzati da piccoli tocchi che li rendono inconfondibilmente il Torquato e il Nundinio della Cena. Ma non é tutto, ci sono altri riferimenti a Giordano Bruno: l’ultimo dialogo riempie quaranta pagine, e per Miss Yates “ai suoi contemporanei deve essere sembrata la parte più brillante e divertente del manuale”. Mentre nelle prime pagine Torquato si alza al mattino, nell’ultima ammira la “luna e la notte stellata” con riferimenti sull’amore e le donne, e le speculazioni astronomiche. Nel sesto capitolo cita i proverbi di Bruno de Il Candelaio “Ad altare scarupato non s’accende candela, a scrigno sgangherato non si scrolla sacco.” Molti dei pensieri di Bruno sono modellati in Second Fruits, in cui il Nolano è ritratto da Florio sdraiato sul davanzale della finestra, sfogliando un libro e prendendo in giro Florio che impiega troppo tempo per vestirsi al mattino. In questo scambio tra Nolano (come lui chiama Bruno) e Torquato, Bruno costringe Florio a scendere dal letto mentre é ancora addormentato:

N: Voi mi fate sentire una delle doglie da morire col tanto aspettarvi.

T: Quali son le doglie da morire?

N: Aspettar e non venire. Star in letto e non dormire. Ben servir e non gradire. Haver cavallo che non vuol’ire. E servitor che non vuol’ubidire. Esser’ in prigione e non poter fuggire. Et ammalato e non poter guarire. Smarrar la strada, quand un vuol gire. Star alla porta quand’o un non vuol aprire. Et haver un amico che ti vuol tradire: sono dieci doglie da morire.

T: Queste son doglie ch’io ho patito & patisco sovvente volte.

N: La prima di esse io patisco adesso.

T: Ma non la patirete molto, perché io ho bel’e fatto.

Spampanato ha identificato il proverbio qui tratto da Il Candelaio di Bruno, dove la Signora Vittoria apre il suo monologo dicendo: “Aspettare e non venire é cosa da morire”. L’uso proverbiale è una delle chiavi della gamma della portata lessicale di Florio, e qui abbiamo un esempio della capacità di Bruno nel fornirgli proverbi per l’utilizzo linguistico. 5 Oltre all’uso di saggezza proverbiale cui fa uso Florio, seguirà anche l’esempio di Bruno nell’impiego di proverbi nel corso della sua carriera per stabilire uno degli aspetti più distintivi della sua difesa della lingua italiana.

SECONDO FRUITS & VINCENZO SAVIOLO

John Florio divenne un amico intimo di Vincentio Saviolo, un famoso maestro di scherma di Padova che pubblicò nel 1595, con l’aiuto di Florio, Vincentio Saviolo his practise. John Florio, nei Second Fruits, lo descrisse come “Più valoroso di una stessa spada.” e come qualcuno che “will hit any man, bee it with a thrust or stoccada, with an imbroccada or a charging blowe.” 6 L’inclusione di Florio dei termini presi in prestito insieme alle traduzioni in inglese nella parte inglese del suo dialogo suggerisce la loro graduale adozione nel volgare della scherma inglese. 7


¶ L’IPPOTOPO E L’AVARO: NOVELLE DI FLORIO

John Florio scrisse anche le sue storie: ispirato dal Decameron di Boccaccio, sesta giornata, decimo racconto, pubblicò Lippotopo; novelletta di Giovanni Florio nel quale narrasi uno e tratto di accidia e Novelletta d’un avaro, Londra: Appresso Thomaso Woodcock, 1591. Entrambi i romanzi sono stati parzialmente tratti da Second Fruits, ri-scritti e pubblicati come novelle. Ci sono oggi nel mondo solo 12 copie di Lippotopo e 8 copie di Novelletta d’un avaro. Insieme a Novelletta d’un avaro scrisse anche alcuni versi divertenti tratti dal Giardino di Ricreatione 8 e riscritto nella settima pagina del romanzo:

Dio ci guardi da puttana di bordello

da frate di mantello,

da prete da grossetto,

da donna vestita di berrettino,

da ostro e da garbino,

da bastonate da orbo,

da beccature da corvo,

da vento di Quarnaro,

da spese di boaro

dal davanti della donna,

dal di dietro della mula,

e da tutti i lati etc. etc.

Queste due novelle furono ripubblicate a Venezia tra il 1845 e il 1846 come L’accidioso e Lippotopo da Giuseppe Pasquali che aggiunse altre pagine dei Second Fruits di Florio con proverbi italiani e latini, ma senza riconoscere la paternità di Florio.


¶ SECOND FRUITS: CAPITOLI

Di seguito sono riportati alcuni estratti da Second Fruits:

Capitolo Terzo di parlar famigliare la mattina, dove si tratta di molte cortesie, e del modo di salutar e visitar gli ammalati, e del cavalcare, con tutto ciò che al cavallo appartiene, tra Aurelio, Pompilio e Trippa servitore.

Pompilio: Buon dì a v.s. signor Aurelio
Aurelio: E a voi il buon dì e il buon anno signor Pompilio
Pompilio: Donde venite così in fretta
Aurelio: Io vengo da visitar un amico mio
Pomilio: Dove sta egli, se si può sapere?
Aurelio: Qui appresso, in questa strada.
Pompilio: E egli amico o amica? dite per vostra fede?
Aurelio: Voi cercate di farmi arrossire
Pomilio: Perché, é così gran peccato?
Aurelio: Signor si, il visitar le donne
Pomilio: Si, le donne del mondo
Aurelio: Tutte le donne, non sono del mondo
Pompilio:Signor si, ma non tutte mondan
o

Aurelio: *Non ti fidar di donna alcuna, che lei si volta come fa la luna.

Presso l’alloggio:

Pomilio: Garzone porta qui da sedere, metti là una sedia.
Aurelio: In verità voi siete alloggiato molto comodamente.
Pomilio: A dir il vero io son qui molto agiatamente.
Aurelio: Avete qui un morbido letto con agiate massaritie
Pomilio: Qui potete veder molto lontano
Aurelio: Ecco qui una bella e amena prospettiva
Pomilio: Signor si, e molto alegra, massime verso l’oriente
Aurelio: E’ cammera locanda questa?
Pomilio: Signor si, e la pago molto cara
Aurelio: Quanto ne paga v.s. la settimana?
Pomilio: Io ne pago quattro scudi il mese.
Aurelio: Non è troppo cara per esser in Londra
Pomilio: Bisogna accomodarsi come si può.
Aurelio: Veramente v.s. é molto ben fornita di libri
Pomilio: Quei pochi che io mi trovo, sono al comando vostro.
Aurelio: Prestami questo libro, per due o tre giorni.
Pomilio: Tienilo finché vuoi.

Capitolo Quarto, dove vien descritto un descinare, al qual intervengono sei persone, cioé Nundino, Camillo, Horatio, Melibeo, Tancredi & Andrea come convitati, e Simone patron di casa, e Roberto suo servitore; fra quali seguono molti piacevoli ragionamenti circa il mangiare e il pasteggiare.

 Roberto: Signor, il descinar é in ordine, vi piace che si metta in tavola?
Simone: Di gratia, apparecchia pur la tavola.
Roberto:Hor ora, in men d’ un baleno, sarà in ordine.
Nundinio: Il mio cuoco mi serve bene
Simon: Ecco la vivanda, mettiamoci pur a tavola.
Camillo: Io vorrei prima lavare, se non fosse per scomodare Roberto.
Simon: Olà, porta de l’acqua per lavar le mani
Robert: Eccone qui della fresca, e buona da bere per un bisogno.
Simon: Signori, asciugatevi le mani con questo sciugatoio.
Taneredi: Dio gratia mettiamoci a tavola che io ho buon apetito.
Simon: Signori miei, la vivanda si raffredda.
Taneredi: Servitore dammi un poco di minestra,e dammi altresì un cucchiaio
Robert: Eccone là sul tavolo appresso la saliera
Simon: Porta qua quella insalata, quelle brisciole, quel gigotto di castrato, quel pezzo di bue, con tutto ciò che abbiamo di lesso.
Camillo: Banchetto e non descinar si può dir di quest’apparecchio.
Simon: Di gratia servitevi da vostra posto, ciascuno tagli dove gli piace, e cerchi i migliori bocconi.
Taneredi: In vero queste vivande son molto bene stagionate.
Camillo: O che buon pane che avete qui
Nundinio: O quante sorti di pane avete voi in casa?
Simon: Ecco la del pan di cernitura, del semoloso, pane di tritello, oltre il pane casalingo.
Camillo: Beato voi che avete si buon panettiere.
Simon: Domandate da bere quando vi piacerà, e di che sorte di vino vi gusta meglio
Camillo: Dammi del vino, e una coppa di birra
Horatio: A me piace bere il vino alla Tedesca
Taneredi: E come lo bevono essi, di gratia?
Horatio: La mattina puro, a descinar senz’acqua, e a cena come vien dal tonello.
Melibeo: Questa regola mi piace, essi la intendono, e siano benedetti.
Horatio: Una fetta di presciutto, ci farebbe gustar bene il vino.
Simon: Olà, metti in tavola quel gambone di presciutto.
Taneredi: Per cortesia porgetemi un pò di sale, io non ci posso arrivare.
Horatio: Dammi un taglier netto
Simon: Porta da mangiare nel nome di Dio
Nundinio: Facciamo una legge che nessuno si cavi la beretta o il cappello a tavola.
Camillo: Ottima e santa legge, perché così verremo a non imbrattarci i cappelli.
Taneredi: Né correremo pericolo di far volar i crini nei piatti
Simon: Metti in tavola quel cappone, quei conigli, quella gallina, quei pollastri, quell’oca, quelle beccacce, quei beccaccini, quelle allodole, quelle quaglie, quelle pernici, quei faggiani, e quel pasticcio di selvaggina.
Simon: Ecco il signor Andrea che viene. Avete voi descinato, o no?
Andrew: A dir il vero io sono ancora digiuno
Simon: Da qua uno sgabello, e metti là un tondo, una salvietta, un cortello, una forcina e un cucchiaro.
Andrew: Nessun si muova, ch’io vo seder qui, con licentia vostra però.
Simon: Signor Andrea, volete voi mangiar un uovo?

Capitolo Primo del levare la mattina, e di ciò che appartiene alla camera, et al vestire, tra Nolano, Torquato e Ruspa servitore.

Nolano: Olà Signor Torquato, dormirete voi tutto oggi?
Torquato: Chi é là? Chi mi chiama? Chi mi domanda?
Nolano: Un vostro amico: amici: son io: siete levato?
Torquato: Chi siete? Che domandate? Ch’andate cercando?
Nolano: Buondì a v. s. Sr. Torquato: dormite voi ancora?
Torquato: Oi scusatemi, Sr. Nolano, ch’ora ora sarò levato.
Norlano: Levatevi a vostro bell’agio, c’hio vi aspetterò bene.
Torquato: Adesso, adesso vengo ad aprirvi.
Norlano: Non tanta fretta, no.
Torquato: Ecco la porta aperta, entri v.s.
Norlano: Dio vi dia il buon giorno
Torquato: Cosi ancora a v.s. siate il molto ben venuto

Nolano: Non eravate ancora levato?

Torquato: Non certo. Signor no. Non é già così tardi.

Nolano: Non avete vergogna a star tanto in letto?

Torquato: Io non dormivo, non facevo che sonnecchiare

Nolano: Mi pare che tuttavia siate sonnacchioso

Torquato: Io non sono ancora ben desto

Nolano: O se la poltroneria fosse virtù, quanti virtuosi sarebbero al mondo

Torquato: E’ peccato, perché io sarei nel numero di essi.

Nolano: Come avete riposato questa notte?

Torquato: Bene, ma ho avuto molti spaventevoli sogni

Nolano: Dovreste levarvi con l’Aurora, amica delle Muse.

Torquato: Così son solito fare, ma ieri sera andai tardi a letto.

Nolano: Ma che state a fare che non vi levate?

Torquato: Olà Ruspa, vien qua: dove sei? che stai a fare?
Ruspa: Eccomi qui. Che vi piace? Che domanda v.s.?
Torquato: Apri quella finestra e dammi i miei vestiti.
Ruspa: Che vestito volete aver oggi?
Torquato: Prima dammi una camicia bianca, pulita.
Ruspa: Non ce ne sono che due.
Torquato: Dove sono tutte le altre?
Ruspa: La lavandaia ne ha sei.
Torquato: Spedisciti, dammi una camicia
Ruspa: Con che collare la volete?
Torquato: Con un collare da rivolto
Ruspa: Non c’è n’è nessuna che ne abbia
Tarquato: Dammi uno con le ghimphe allora.
Ruspa: Eccola qui.
Tarquato: Dammi la mia camisciola
Ruspa: Qual volete? Quella di lanina?
Tarquato: No, dammi quella fatta a gucchia.
Ruspa: Che tipo di abbigliamento volete indossare oggi?
Torquato: Quello di raso bianco, listato con passamano d’oro.
Ruspa: Ci mancano non so quanti bottoni
Torquato: Mettili dunque or ora.
Ruspa: Io non ne ho nè ago, nè rese, nè ditale.
Tarquato: Signor Nolano, non virincresca, adesso adesso sarò vestito.
Nolano: In questo mentre leggerò questo libro.

Capitolo secondo di parlar famigliare la mattina per strada; tra tre amici, cioé Thomaso, Giovanni, Henrico, & Piccinino servitore, dove vien descritta una partita a palla.

Giovanni: Che faremo fin che sia ora di descinare

Henrico: Io m’accordo a tutto, pur che facciamo qualche cosa

Thomaso: In quanto a me, io mi rimetto alla compagnia

Giovanni: Facciamo qualche partita alla palla

Henrico: A punto, questa mattina che fa così fresco, il richiede.

Thomaso: E poi descineremo di compagnia

Giovanni: E dopo descinar andremo a veder qualche commedia

Henrico: In Inghilterra non recitano vere commedie

Thomaso: Eppur non fanno che recitar tutto il giorno

Henrico: Si, ma non sono vere comedie, nè vere tragedie

Giovanni: Come le nominereste voi dunque?

Henrico: Rappresentazioni d’historie, senza alcun decoro

Giovanni: Orsù, risolviamoci a far qualche cosa per fuggir l’otio

Thomaso : Andiamo a giocar alla palla

Henrico: Dunque bisogna che uno resti fuori

Giovanni: Io resterò fuori, giocate pur voi due

Thomaso: Questo no, noi getteremo la sorte

Giovanni: No no, fate pur ch’io sia spettatore, e non attore.

Henrico: Orsù, da che volete così, giochiamo noi due. A che gioco andremo?

Thomaso: A quello della certosa

Henrico: Veramente quello é il più bello di Londra

Thomaso: Ma che farà il signor Giovanni intanto?

Giovanni: Io verrò con voi per vedervi giocare

Henrico: Starete a vedere, e sarete nostro giudice

Thomaso: Olà putto, porta qua delle palle,e delle racchette.

Piccinino: Quanti siete signori miei?

Henrico: Noi siam due, che vogliam giocare

Piccinino: Volete giocar in partita?

Thomaso: Si però dacci delle buone palle

Piccinino: Eccone qua due dozzene, belle e bianche

Thomaso: Offeriamo le leggi del giuoco

Giovanni: Cioè di metter i denari sotto la corda: non é vero?

Thomaso: Voi la intendete signor sì. A chi tocca giocare?

Henrico: A me perché voi siete alla casa

Thomaso: Giocate dunque,e datemi una buona palla

Henrico: Volete che vadi di buono?

Thomaso: Come vi piace, che m’importa?

Henrico: O via, giocate

Thomaso: Fallo, io ho quindici

Henrico: Patientia, giocate.

Thomaso: Via, putto, segna quella caccia.

Piccinino: Eccola segnata

Henrico: Voi la perdete. Quindici a quindici

Torquato: Io ho trenta e una caccia

Henrico: E’ sotto o sopra quella corda la palla?

Giovanni: A me par che sia sotto più di un palmo

Torquato: Io ho trenta

Henrico: E io ho due caccie

Torquato: L’ultima non é caccia, ma fallo

Henrico: Perché fallo?

Torquato: Perché l’avete percossa di secondo balzo

Henrico: Avete dunque quaranta, giocate.

Torquato: Et io a due dunque

Henrico: E io ho il vantaggio. Io ho vinto il primo gioco.

Torquato: Queste sono le mie disdette. Io sudo e son tutto in acqua

Henrico: Dove andremo adesso?

Torquato: Io voglio andare fino alla mia camera

Giovanni: A che fare?

Torquato: A riposarmi, perché son straccio

Giovanni: Andiamo dunque alla mia stantia

Henrico: Sarà meglio, da che non é molto discosto di qui

Torquato: Affrettiamo dunque il passo, perché é tardi

Giovanni: Io non vedo l’ora di mettermi a tavola.


¶ SECOND FRUITS: LEGGI L’INTERO LIBRO

Puoi leggere Second Fruits qui sotto:


Come citare questa voce:

“Resolute John Florio”, “Second Fruits”, URL https://www.resolutejohnflorio.com/2019/09/19/second-fruits/

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta il 13 novembre 2019. È stato modificato l’ultima volta il 16 Gennaio 2020.

Note:
  1. Yates, F.A., John Florio, The Life of an Italian in Shakespeare’s England, Cambridge University Press, 1932, p. 128
  2. Lawrence, J., Who the Devil Taught Thee So Much Italian?: Italian Language Learning and Literary Imitation in Early Modern England, Manchester University Press, 2005, Introduction.
  3. Simonini, R. C. Italian Scholarship, cit., pp. 62
  4. Wyatt, M., The Italian Encounter with Tudor England: A Cultural Politics of Translation, Cambridge University Press, 2005 p. 167
  5. Gatti, H, Giordano Bruno: Philosopher of the Renaissance, Ashgate Publishing, 2002.
  6. “colpirà qualsiasi uomo con una spinta o una stoccada, con un imbrocada o un colpo in carica.”
  7. Gallagher, J., The Italian London of John North: Cultural Contact and Linguistic Encounter in Early Modern England, Renaissance Quarterly, 70 (1), 2017, pp. 88-131
  8. Florio, J.,Giardino di Ricreatione, In Londra, Appresso Thomaso Woodcock, p. 48