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I Saggi di Montaigne tradotti da John Florio sono considerati un’opera d’arte, oltre che una delle traduzioni elisabettiane più popolari e influenti.

SAGGI DI MONTAIGNE

“Eppure, un uomo deve farsi notare, sì, e mettersi in mostra e farsi largo per apparire in questo Teatro del mondo.”


SAGGI DI MONTAIGNE

Il 4 giugno 1600 è il giorno che ha visto la pubblicazione di una delle traduzioni elisabettiane più popolari e influenti. La pubblicazione di John Florio dei Saggi di Michel de Montaigne si rivelò un successo immediato nell’Inghilterra Elisabettiana. Il libro, concesso in licenza a Edward Blount, fu pubblicato solo tre anni dopo, nel 1603. La traduzione dei Saggi di John Florio divenne una vera e propria opera d’arte letteraria molto apprezzata durante il periodo elisabettiano. In quel periodo, Florio era il più importante del gruppo di gentiluomini insegnanti in italiano, tanto che la sua nomina a precettore del principe Henry e a lettore della Regina fu quasi scontata.

JOHN FLORIO & LADY HARINGTON

All’epoca della cospirazione dell’Essex, Southampton fu rinchiuso nella Torre e Florio rimase senza supporto. Che Florio fosse stato un partigiano abbastanza attivo è indicato dalla sua difesa in A World of Words di “A.B.” cioè di Essex, contro il vociare e il brontolio di Hugh Sanford. 1 In quel periodo, John Florio fu accolto in casa di Lady Anne Harington. Era cugina di Sir John Harington, il traduttore dell’Ariosto. John Florio, nel suo “Epistola Dedicatoria”, spiegò che su incarico di Sir Edward Wotton intraprese la traduzione di uno dei Saggi di Montaigne. Più tardi, Lady Harington, dopo averlo letto, lo esortò a proseguire.

Lucy Russell, contessa di Bedford (nata Harington) (1580–1627) fu una grande mecenate aristocratica delle arti e della letteratura nell’ epoca elisabettiana e giacominiana.

SAGGI DI MONTAIGNE: L’EPISTOLA DEDICATORIA

John Florio non poteva accontentarsi di dedicare questo magnifico libro dei Saggi di Montaigne a non meno di una galassia di sei dame di corte. Il primo libro è, naturalmente, per la contessa di Bedford e sua madre. La seconda è divisa tra Lady Penelope Rich, Stella di Sidney, e sua figlia, Elizabeth, contessa di Rutland. Aggiunge anche un adeguato elogio all’Arcadia considerata “perfetta-imperfetta“. Il terzo è affidato con grazia a due allievi più giovani di Florio. Si tratta di Lady Elizabeth Grey, figlia del Conte di Shrewbury, e Lady Mary Nevill, figlia del Lord Alto Tesoriere d’Inghilterra. 2

FLORIO COME “AMANTE PETRARCHESCO”

Nella sua traduzione dei Saggi di Montaigne, Florio si è proposto nelle sue dediche come “il penitente amante Petrarchesco”, accettando l’eroica fatica assegnatagli dalle sue madrine. Il volume è ulteriormente impreziosito da sonetti alle varie dame del Dottor Gwinne, sotto il nome di “Il Candido”; da un altro sonetto italiano sempre dello stesso, “Al mio amato Istruttore Mr. Giovanni Florio”; e da una lunga poesia, “To my deere friend…concerning his translation of Montaigne”, del noto Samuel Daniel, che ha esaminato l’opera con grande ammirazione. Egli si ritrae in piedi alla porta di Montaigne accanto al traduttore 3:

Here at his gate do stand, and glad I stand

So neere to him whom I doe so much loue,

T’applaude his happy setling in our land:

And safe transpassage by his studious care

Who both of him and vs doth merit much,

hauing as sumptuously, as he is rare

Plac’d him in the best lodging of our speach,

And made him now as free, as if borne here….

SAGGI DI MONTAIGNE: FLORIO COME VULCANO

Florio si descrive a Lady Harington come il padre adottivo dell’opera di Montaigne. L’atto della traduzione e la sua consegna sono descritti in termini mitologici. John Florio paragona il processo di traduzione a quello del parto di un bambino, e si paragona a Vulcano, il dio del fuoco benefico e ostile e dio degli artigiani, che aveva partorito Minerva, la dea della saggezza, in un modo molto insolito. Soffrendo di un doloroso mal di testa, Giove chiese a Vulcano di usare la sua ascia per spaccargli la testa per alleviare il dolore; quando lo fece, spuntò fuori la dea Minerva, cresciuta, armata e pronta per la battaglia. 4

So to this defective edition (since all translations are reputed femalls, delivered at second hand; and I in this serve but as Vulcan, to hatchet this Minerva from that Iupiters bigge braine) I yet at least a fondling foster-father, having transported it from France to England; put it in English clothes; taught it to talke our tongue (though many-times with a jerke of the French Iargon) would set it forth to the best service I might; and to better I might not, then You that deserve the best.”

DIODATI: UN “PESCE GUIDA PER LA BALENA”

Per la traduzione dei Saggi di Montaigne, John Florio riconosce anche l’aiuto di Teodoro Diodati. Era il padre dell’amico di Milton, con il quale si confidava costantemente. Era stato, come lo descrive John Florio, “in questo oceano impetuoso” come “un pesce guida per la balena”. Il suo “unico e carissimo amico amorevole e simpatizzante”, il dottor Matthew Gwinne, aveva intrapreso il vasto compito di ricondurre alle fonti tutte le citazioni dei classici. Sostenuto e spinto da questi due sostenitori della conoscenza e dell’amicizia, John Florio ha concluso il suo lungo e tortuoso viaggio:

“Ho sudato, ho pianto, e sono andato avanti, fin quando adesso mi son fermato a riva.”

¶ SAGGI DI MONTAIGNE: DOVREI SCUSARMI PER LA TRADUZIONE?

Nella lettera indirizzata al cortese lettore, Florio sostiene la traduzione come la via più utile per far progredire la conoscenza e sviluppare la lingua e la cultura di una nazione. Ancora una volta, egli collega questa importante questione con il recente esercito di oppositori legati al Medievalismo ancora saldamente radicato nelle università che furono le più forti fonti di critiche. 5 Nessun dolore, a suo avviso, può essere sprecato per far conoscere agli inglesi un autore così raro ed eminente. Egli ammette l’obiezione contro ogni traduzione che:

“Il senso magari manterrà una forma, ma la frase ne esce sfigurata, e l’eccellenza, la perfezione, l’eleganza, sminuite; proprio come alla natura dell’arte manca l’arte della natura, al ritratto il corpo, all’ombra una sostanza.”

FLORIO NEI SAGGI DI MONTAIGNE PRENDE IN PRESTITO PENSIERI DI ALTRI AUTORI.

Nei Saggi di Montaigne, per Florio il traduttore è un semplice prestatario dei pensieri e delle parole di un altro autore. Egli è “nessun ladro, dal momento che dico da chi l’ho preso”; mentre molti altri prendono “di nascosto”, e non riconoscono il loro debito. Citando Giordano Bruno, il suo “vecchio Nolano”, “che insegnò pubblicamente che dalla traduzione nasce ogni scienza.”, Florio sostiene la sua tesi a favore della traduzione. Disegnando una sorta di albero genealogico linguistico, sostiene che è stato per mezzo delle traduzioni che i nomi dei soggetti rinascimentali più popolari sono stati presi in prestito dai Greci, che a loro volta li hanno ereditati dagli Egiziani che attinsero la loro acqua “dalle sorgenti delle sorgenti degli Ebrei o dei Caldei”6

TRADUZIONE: NON E’ PLAGIO

Florio sviluppa e amplia ulteriormente il profilo della sua difesa inserendo una serie di argomentazioni volte a sostenere e proteggere i traduttori onesti dalle accuse di plagio e di furto:

“Se nulla possa dirsi ora che non sia stato detto già – come ben disse egli, se non v’è nulla di nuovo sotto al Sole, cos’è quel che è stato? Quel che sarà (come disse colui che fu di tutti il più saggio) – cosa fanno i migliori allora se non spigolare il raccolto altrui, prendendone in prestito i colori, ed ereditandone le proprietà? Non fanno forse che tradurre, magari usurpare, per lo meno collezionare? Se lo riconoscono, bene; se di rapina, è cosa pessima. In ciò, ad accusarci è la nostra coscienza, e il giudice la posterità; in ciò, il nostro avvocato è lo studio, e voi lettori la nostra giuria.”

SAGGI DI MONTAIGNE: IL MESSAGGIO INFINITO DI FLORIO

La lettera al Cortese Lettore deve essere citata per esteso perché è una superba, geniale difesa della traduzione. È scritta in uno stile che è una continua ricerca di argomentazione. La discussione è dialogica, ma anche dialettica. È dettata da un oscillare avanti e indietro di affermazioni e repliche: Perché, sì, ma. John Florio scrive la sua argomentazione con tesi e antitesi. Il messaggio di Florio è infinito: il cuore della conoscenza può essere fatto solo attraverso la traduzione. I mondi della traduzione sono gli universi che tutti noi abitiamo come esseri umani, come esseri comunicativi. Questo è il cuore stesso del messaggio di Florio con la sua difesa della traduzione. La civiltà e la sua storia si basano sulla traduzione. E tutto questo, con l’etica del rispetto. Rispetto per le fonti, ma anche, e soprattutto, per lo spirito di un’opera, che è  «come l’aria, il fuoco, l’acqua, più la respiri più si raffina».

Devo forse scusarmi per la traduzione? Sì, ma alcuni mantengono (e ne hanno pieno diritto come sulle proprie terre), che in una tale conversione consista la sovversione delle università. Che Dio li mantenga, e a loro prevenga l’incorrere in mali e malanni. Se fosse una svolta in peggio, volgere libri stravolgerebbe le biblioteche. Già, ma il mio vecchio amico il Nolano m’ha detto, e in pubblico ha insegnato, che dalla traduzione nasce ogni scienza. Ugualmente, proprio come la filosofia, la grammatica, la retorica, la logica, l’aritmetica, la geometria, l’astronomia, la musica, e la matematica tutta devono il loro nome ai greci, i greci prendevano l’acqua battesimale dagli acquedotti degli egizi, e questi dai pozzi degli ebrei o dei caldei. Possono mai tali pozzi esser al contempo tanto dolci e profondi, e la loro acqua tanto infetta e putrida? Può mai, quel che se ne trae aver reso sì nobili quelle genti, avanzate e raffinate, e al contempo guidato le nostre nobilissime colonie contro gli scogli della rovina? E han fatto bene? E vi son riusciti bene? E ne usciremmo male su questa via?

E sì che non sarebbe patrimonio comune, il sapere. Già, ma non esiste un sapere troppo comune, e più è comune, meglio sarà. Ma chi non sarebbe geloso di un’amante tanto prostituita? Sì, ma quest’amante è come l’aria, il fuoco, l’acqua, più la respiri più si raffina; più copre, più riscalda; più la assaggi, più ti è dolce. Sarebbe inumano racchiuderla in una coppa, e una ruberia bella e buona tenerla segretamente nascosta.

E sì, ma gli studiosi dovrebbero avere un qualche privilegio della preminenza. E infatti sono loro gli unici degni traduttori.

Sì, ma il volgo non è che debba saper tutto. Non può, per tutte quelle ragioni; ma neanche gli studiosi, e per molte di più: vorrei che entrambi sapessero e conoscessero molto di più di quanto non sappiano o possano sapere.

E sì, ma tutti mai saprebbero di tutto. No, e non possono; molto più non conosciamo di quanto sappiamo: ognuno sa qualcosa, nessuno conosce tutto: Potrebbero tutti saper tutto? Si fermerebbero prima di divenir tanto grandi. Solo Dio; e lungi da Dio, l’uomo.

Sì, non dovremmo dare le perle ai porci; eppure essi hanno anelli al grugno; e un maiale dovrebbe conoscere il suo porcile, il proprio cibo, come curarsi e tante altre cose, per quanto un maiale le prenderebbe per maggiorana.

Sì, ma la teologia non è bene metterla in bocca a un bambino, a vecchie comari, a un ciabattino, a un mercante di vesti, o farla dibattere a tavola. C’è uso, e abuso: non usare troppo, non abusare troppo poco.

Sì, lasciamo il sapere avvolto da un manto d’erudizione. Già, ma che venga svolto da una nutrice colta; proprio così, perché poi venga avviluppato di nuovo. E sviluppato ancora una volta. Altrimenti prendiamo per ignorante la madre della devozione; pregare e predicare in una lingua sconosciuta; come una povera madre o una figlia disgraziata; forse una buona mente, ma di sicuro cattive maniere. Se a noi sia consono il meglio, perché dal meglio dobbiamo essere esclusi?

Sì, ma più la lingua è ignota, più i migliori scrivono al meglio. No, se lo fanno in una lingua tanto più nota a chi l’ha scritta e non ignota a coloro per cui hanno scritto.

Sì, ma più onore a quanti parlino in modo più forbito. Già, forse come Quintiliano oratore: un uomo colto, lo giuro, infatti non ne capisco una sola parola.

Sì, ma lasciamo che scrivano per il maggiore onore dello scrittore. No, per il maggior profitto del lettore; e dunque, forse, per il suo maggiore onore. Se scrivere oscuro sia intricatamente offensivo, come ben giudicava Augusto, per noi il non scrivere nella nostra stessa lingua se non in modo inintelligibile sarà forse cosa per pochi e per i più intelligenti, ma di certo è senza onore, né profitto, a meno che non si vada a chiamare un interprete; e che altro sarebbe costui se non un traduttore? È oscuro colui che ama l’oscurità. E di conseguenza sono lieto di accettare le sue parole, e consapevole di fraintenderle, Translata proficit.

Sì, ma chi mai ne ha tratto profitto? E chi mai può trar profitto senza? Se nulla possa dirsi ora che non sia stato detto già – come ben disse egli, se non v’è nulla di nuovo sotto al Sole, cos’è quel che è stato? Quel che sarà (come disse colui che fu di tutti il più saggio) – cosa fanno i migliori allora se non spigolare il raccolto altrui, prendendone in prestito i colori, ed ereditandone le proprietà? Non fanno forse che tradurre, magari usurpare, per lo meno collezionare? Se lo riconoscono, bene; se di rapina, è cosa pessima. In ciò, ad accusarci è la nostra coscienza, e il giudice la posterità; in ciò, il nostro avvocato è lo studio, e voi lettori la nostra giuria.

Sì, ma di chi potrei fare il nome che ne abbia tratto gloria? E poi, chi tra i grandi, occasionalmente – come Platone e Aristotele che attingono da tanti; e Tullio [Cicerone], Plutarco, Plinio, che attingono da Platone, Aristotele e molti altri – o di proposito, visto che tutti coloro che da sempre hanno scritto di più, conoscono il greco, e quasi, il latino, ha mai tradotto per intero tutti quei trattati?

Sì, Cardano asseriva che né i versi di Omero possono esser bene espressi in Latino, né quelli di Virgilio in Greco, né quelli di Petrarca in nessuna delle due lingue. Possiamo supporre che Omero non attinse nulla da nessuno, visto che non ne conosciamo di valore prima di lui, e un primo deve pur esserci; ma Omero è spesso tradotto da Virgilio in tal modo da far dire a Scaligero che sembri la corazza del possente Ercole sulle spalle del delicato Bacco: Petrarca, a ben vedere, lo si ritrova sui loro passi, e poeti minori sono noti per averne raccolto gli scarti. E infatti, secondo Scaligero, Ficino ha tradotto Platone con la sua rozza semplicità, come un gufo che abbia a rappresentare un aquila, o un qualche straccione di attore intento a impersonare il principesco Telefo con voce lacera quanto le vesti, e una grazia tanto scarsa quanto la voce. Se il famoso Ficino sia tanto da biasimare, allora chi potrà sperare di farla franca? Ma per costui e per noi tutti, lasciate a me l’onere di confessare, e a lui quello di criticare; e che la confessione faccia ammenda per metà, perché ogni lingua ha genio e forma inseparabili; senza di queste, la metempsicosi di Pitagora non potrebbe esser tradotta correttamente. La magniloquenza toscana, la Venere del francese, la precisione dello spagnolo, l’espressività del fiammingo, non possono di qui esser riportate in vita. Il senso magari manterrà una forma, ma la frase ne esce sfigurata, e l’eccellenza, la perfezione, l’eleganza, sminuite; proprio come alla natura dell’arte manca l’arte della natura, al ritratto il corpo, all’ombra una sostanza. E sì, dunque, io ho apparentemente trattato Montaigne come Terenzio Menandro, facendo del buon francese un inglese non buono. Se non l’ho peggiorato, e a men che non venga compreso peggio, allora andrà bene. Come lui, se non un poeta, io non sono neanche un ladro, poiché dichiaro da chi attingo, e non imito la sua [di Montaigne] negligenza e quella dei suoi autori, né la diligenza oscura di un qualunque maldicente. È il suo cavallo quello che vi metto davanti; magari senza la bardatura; la sua carne, senza la salsa. Ed è proprio in questo che vedo una manchevolezza nel mio maestro: come Crasso e Antonio in Tullio, il primo sembra disprezzarli, il secondo non conoscerli, i greci; ma mentre il primo parlava greco come se non sapesse altra lingua, l’altro nei suoi viaggi ad Atene e a Rodi aveva conversato a lungo con greci eruditi; così il mio maestro, parlando principalmente di sé, e in peggio più che in meglio, nega ogni lascito, autorità, o prestito di antichi o moderni; eppure, nel corso del suo discorrere mostra familiarità non solo con tutti loro, ma con nessun altro autore, e potrebbe senza dubbio, come Ciro o Cesare, chiamarli uno ad uno per nome e condizione, i soldati del suo esercito. Ed io vorrei fare per noi tutti, tanto quanto, in quest’opera integrale, ha fatto in molte delle altre lingue il mio amico senza pari, carissimo e mai sufficientemente lodato, per me e per il vostro arricchimento e intelletto. E allora, di nuovo, come Terenzio, mi sono fatto aiutare. Sì, e li ringrazio per questo, e credo che non dovrebbe spiacer chi possa darvi ancor più soddisfazione.

E però i trattati non sono che saggi scolastici messi insieme. Potete considerarli tranquillamente tanti testi. Tutto sta nella scelta e in come vengono gestiti.

Sì, per la madonna, ma l’ingegno di Montaigne non è che ingegno francese: ferdillantlegier e extravagant. E ora sta a voi, ingegni inglesi, seguendo il più sobrio e solido giudizio del più colto che avete. L’avviso di quel giudizioso e valido consigliere (l’onorevole Sir Edward Wotton) non m’avrebbe spinto ad imbarcarmi alla volta di questa scoperta se la sua saggezza non avesse ciò giudicato degno delle mie fatiche e del vostro studio. E se dovesse o volesse un qualche critico accanito, o la lingua di serpente di un satirico, farsi beffe o scovare difetti, al punto che nel corso del suo discorrere, o nel reticolo dei saggi, o nel dar titolo ai capitoli, egli [Montaigne] mantenga uno stile sconnesso, discontinuo o errante, e se sovente il soggetto non corrisponda al titolo, e non vi sia coerenza nel tutto, a costoro poco dirò perché poco meritano. Ma se vorranno, ad essi la scelta, li rimando al nono capitolo del terzo libro (folio), dove egli stesso previene la loro cavillosità, e prevedendone le critiche risponde a tutto al posto mio. Eppure di errori ve ne sono. Se di sostanza, colpa dell’autore; se d’omissione, dello stampatore. Lui, non ho intenzione di correggerlo, ma ve lo rendo come l’ho trovato; l’altra cosa non posso controllarla. Ma dove io ora vedo errori, vi prego e imploro per amor vostro di correggerli mentre leggete, o emendarli come vorrete. Ma alcuni errori sono miei, e resi ancor più miei dalla traduzione. Di grammatica o ortografia? Tanto facile per voi raddrizzarli, quando per me essere in fallo. Di costruzione, come quando attribuiamo erroneamente un “lui”, “lei”, o “esso” a cose vive, morte, o neutre? Scoprirete subito quel che intendevo, e subito dopo saprete correggere. Oppure saranno nell’uso di termini desueti, come entrainconscientiousendeartarnishcomporteffacefacilitateamusingdebauchingregreteffortemotion e altri simili? Se non vi piacciono, prendetene altri più spesso usati e atti a spiegarli, dal momento che il loro utilizzo serve ad accostare i simili termini francesi al nostro inglese, che può ben tollerarli. Se qualcuno sia di capitale importanza nel fuorviare il senso, che io venga rimproverato, e ritratterò. Tuttavia, l’inconsistenza delle stampe francesi, la difformità tra copie, edizioni e volumi – alcune ne presentano più di altre – e poi io a Londra ne ho seguite certe, e fuori altre – talune in folio, altre in octavo – tutte queste cose, nel presente compendio, le ho ricomposte: dunque, biasimate non in maniera avventata, o condannate senza sconti la loro numerosità, ma vi consiglio di consultare, prima di iniziare la lettura, la tavola fornita a vostro uso (alla fine del libro), in cui sono riportate. Lo stampatore a cui è mancato un correttore attento, le mie tante occupazioni, e la distanza tra me e gli amici con i quali dovrei conferire, possono attenuare, se non scusare, tanti altri errori. In definitiva, se qualcuno crede di poter far di meglio, ci provi pure; e così avrà opinione maggiore di quel che qui è compiuto. Sette o otto persone di grande ingegno e valore hanno tentato, per poi scoprire come questi saggi non siano adatti a chi mastichi poco francese o sia un littletoniano. Se quanto ho fatto vi riesce gradito, come spero possa accadere, e come spero avverrà, allora gradito sarà anche a me. In caso contrario, resto il vostro risoluto John Florio.

Traduzione di Enrico Terrinoni, “L’apologia della traduzione di John Florio”.

LA TRADUZIONE DI JOHN FLORIO DEI SAGGI DI MONTAIGNE: UN NUOVO LIBRO

La prima cosa che colpisce il lettore della traduzione di Florio è la sua passione oer le parole. Nei seguenti esempi le parole aggiunte da John Florio sono in italico. L’obiettivo è quello di comprendere meglio la sua tecnica di traduzione e il particolare modo in cui usa le parole.

Montaigne, parlando di coloro che mortificano volontariamente la carne, aveva scritto:

Montaigne: “J’en ay veu engloutir de sable, de la cendre, & se travailler a point nomme de ruiner leur estomac, pour acquerir les pasles couleurs.” I, 339

Mentre Florio lo traduce come:

Florio: “I have seen some swallow gravell, ashes, coales, dust, tallow, candles, and for the-nonce, labour and toyle themselves to spoile their stomacke, only to get a pale-bleake colour.”

UN FINE ECCESSO

In questo esempio è evidente come John Florio provi una gioia immensa nell’elaborazione. Egli ama quello che per lui è un fine eccesso.

Montaigne sta parlando dei suoi servi:

Montaigne: “Je ne voy rien autour de moy que couvert & masque”

E Florio si spinge a scrivere:

Florio: “I see nothing about me, but inscrutable hearts, hollow mindes, fained looks, dissembled speeches, and counterfeit actions.”

A volte John Florio aggiunge altre parole nel tentativo di accentuare la situazione con enfasi. Aggiunge aggettivi con un tono emotivo teso, estraneo a Montaigne. Scrive “these boistrous billows” per i più semplici “ces flots” di Montaigne. Oppure “lowring vexation and drooping melancholy” per “le chagrin & la melancholie” . Un altro esempio è “the minde-quelling authoritie of his countenance, and awe-moving fiercenesse of his words” per “l’autoritè de son visage & la fiertè de ses paroles”.

ESSAYS DI MONTAIGNE: NUOVE PAROLE

Nella sua difesa della traduzione, John Florio spiega che ci sono molte parole francesi nella sua traduzione dei Saggi di Montaigne che, accoppiate a parole comuni per spiegarle, possono essere “familiari con il nostro inglese, il che può benissimo renderle belle”. Egli cita un certo numero di parole di questo tipo da lui create, che secondo lui alcuni critici potrebbero obiettare:

“entraine, conscientious, endeare, tarnish, comporte, efface, facilitate, ammusing, debauching, regret, effort, emotion.”

Nelle pagine “Of the Caniballes” prende in prestito parole francesi già in circolazione ma di introduzione tardiva e di uso limitato. Alcuni esempi sono febricitant, supplant, puissant. E almeno uno che è apparso per la prima volta in un testo inglese: contexture. Una parola chiave per Montaigne che fu usata in seguito da Bacon. 7. Florio sperimentò consapevolmente con l’inglese, innestandoci parole e frasi di altre lingue. Questo lo portò a creare non solo nuove parole, ma anche nuove costruzioni grammaticali. Ad esempio, è stato il primo scrittore ad usare il genitivo pronome neutro “its“.

COMPOSTI, RADDOPPI, ALLITTERAZIONI: RICHIAMI AL TEATRO

Nel suo amore per la duplicazione, John Florio si prende la libertà di inventare i composti. “L’ame plaine” diventa “a mind full-fraught”, “doux & aggreable” è “a pleasing-sweet and gently-gliding speech”. Le parole sono combinate in quasi tutti i modi, e spesso con un effetto straordinariamente fine. Per esempio: “marble-hearted“. Mentre traccia di versi dei sonetti è colta in “Pride-puft majestie”, “the fresh-bleeding memorie“. Un altro grande composto è “with hight-swelling and heaven-disimbowelling words.” Mentre un richiamo al teatro sta nella sostituzione di questa frase:

Montaigne: “D’une voix tremblante”

Florio: “With a faint-trembling voyce and selfe-accusing looke”

Le combinazioni di Florio possiedono una sostanziale ricchezza come in “a rough-hewen fellow” invece di “un grossier”. O “a lingering-toylsome life” per “une vie peneuse”. Fa anche grande uso del raddoppio. Il suo scopo è quello di ottenere l’ornamento retorico di frasi o parole di lunghezza approssimativamente uguale. In molti casi, raddoppia l’immagine o l’idea:

Montaigne: “Ce n’est pas a dire que le muletier n’y trouve son heure”

Florio: “A groome or a horse-keeper may finde an hour to thrive in; and a dog hath a day.”

Montaigne: “D’Avoir trouvè la feve au gasteau”

Florio: “To have hit the naile on the head, or to have found out the beane of this Cake.”

Anche John Florio sperimentò lo stile retorico e condivideva l’amore per l’allitterazione:

“Carke and care” I, 84

“Pricke and praise” II, 41

“Bounds and barres” I, 18

“So fained and fond a ceremonie” I, 23

“Tedious and mind-trying idlenesse” I, 258

o il più elaborato:

“Being absent I….should lesse feele the ruinois downe-fall of a Tower, than being present, the fall of a Tile.” – III, 195

ESSAYS di MONTAIGNE: UNA TRADUZIONE PER I LETTORI INGLESI

Florio considerava sempre suo dovere spiegare i termini che riteneva difficili, e spesso di istruire i suoi lettori sui dettagli che Montaigne aveva lasciato alla loro discrezione. 8 Egli aiuta anche il lettore inglese a comprendere riferimenti sulla storia straniera.

“Le Duc de valentinois” diventa “Caesar Borgia, Duke of Valentinois,”

“Le feu Chancelier Oliver” diventa “Lord Oliver, whilome Chauncerler of France,”

“Solyman” diventa “Soliman, the great Turke”

“L’Ostracisme et le Petalisme” diventa “the Ostracisme amongst the Athenians, and the Petalisme among the Siracusans.”

“Le Louvre” diventa “Louvre, the pallace of our Kings in Paris.”

“l’endroit du diaphragme” diventa “Diaphragma, which is a membrane lying overthwart the lower part of the breast, separating the heart and lights from the stomache.”

LA FORZA DELL’IMMAGINAZIONE

Nella sua traduzione dei Saggi di Montaigne, John Florio condivide la gioia di elaborare ogni dettaglio di una situazione che mostra la forza dell’immaginazione. Un esempio è la storia di Marie Germain, un vecchio che fino a ventidue anni pensava di essere una ragazza: 9

Montaigne: “Faisant, dit-il, quelque effort en saultant, ses membres virils se produsirent: & est encore en usage entre les filles de là, une chanson, par laquelle elles s’entradvertissent de ne faire point de grandes enjambées, de peur de devenir garcons, comme Marie German” – I, 107

Florio: “He saith, that upon a time leaping, and straining himselfe to overleape another, he wot not how, but where before he was a woman, he suddenly felt the instrument of a man to come out of him; and to this day the maidens of that towne and countrie have a song in use, by which they warne one another, when they are leaping, not to straine themselves overmuch, or open their legs too wide, for feare they should bee turned to boies, as Marie Germane was.” I, 92.

L’AMORE DI FLORIO PER I CAVALLI

L’amore di John Florio per i cavalli e il suo interesse per essi si manifesta rapidamente nel saggio “Of Steeds, called in French Destriers”, dove il motivo della grande esplosione delle parole è ovviamente da ricercarsi nella devozione del traduttore per questa materia:

Montaigne: “Ce que j’ay admiré autresfois, de voir un cheval dressé à se manier à toutes mains, avec une baguette, la bride avallée sur ses oreilles” – I, 400.

Florio: “That which I have other times wondered at, to see a horse fashioned and taught, that a man having but a wand in his hand, and his bridle loose hanging over his eares, might at his pleasure manage, and make him turne, stop, run, cariere, trot, gallop, and whatever else may be expected of an excellent ready horse.” – I,337.

L’ASTRATTO, L’IMMAGINE

Nella sua traduzione dei Saggi di Montaigne, John Florio cerca costantemente di scoprire un modo per sostituire il concreto con l’astratto, per dare colore a un’idea con un’immagine. Ad esempio, quando Montaigne afferma un aforisma, “Mais aucun bien sans peine,” Florio vi riversa nuova vita: “But no good without paines; no Roses without prickles.” Nelle occasioni in cui Montaigne stesso aveva usato un’immagine, Florio la sviluppa in modo più completo con un dettaglio fuori luogo ma affascinante. Un esempio si può trovare quando traduce “cercher le vent de la faveur des Roys” in “the seeke after court holy-water and wavering-favours of Princes.”

METAFORE DA TERMINI MARINI

Spesso nelle sue opere John Florio aggiungeva metafore dai termini del mare per spiegare un sentimento personale o una situazione. Descrive le critiche dei Second Fruits come un naufragio, in A World of Words scrive “questi notevoli pirati nel nostro mare di carta”, mentre si paragona ad un uomo su una nave che fa tutto da solo per non affondare. Anche nei Saggi di Montaigne usa una buona dose delle stesse metafore. Alcuni esempi si possono trovare quando scrive “have no other anker” per “qui n’ont appuy que”, o “being once embarked, one must either go on or sinke” per il meno distinto “depuis qu’on y est, il faut aller ou crever,”, o “les orages et tempestes se piquent” diventa più visivo con “the sea-billowes and surging waves rage and storme.” O “Aristote qui remue toutes choses”, che diventa “Aristotle that hath an oare in every water and medleth with all things.”

L’ISTINTO DEL DRAMMATURGO

Florio fa continuamente queste modifiche per ottenere un quadro più completo. Questo impulso all’azione è sempre in vetta alla sua immaginazione. È un istinto della sua natura scrivere “with a vaile over his face” per “le visage couvert,” o l’impressionante “headlong tumbled downe from some rocke” per “precipitez”. Si può sempre contare su di lui per produrre uno shock di piacevole sorpresa. Il bisogno di una maggiore sensazione di movimento è la forza che sta alla base di quasi tutte le sue aggiunte. Vuole sempre accrescere l’enfasi, esaltare e intensificare. Questo si rivela nell’uso di verbi forti. “I flie a lower pitch”, scrive per “je suis d’un point plus bas”. Nei suoi composti questo senso di movimento è ancora più grande: “harme-working eyes”, e “certaine terror-moving engines”, per “nuisans,” and “espouventables.” “Cette ridicule piece” diventa “that laughter-moving and maids looke-drawing piece,”. In quasi tutti i casi, come è già stato suggerito, queste alterazioni di Florio sono dettate da un taglio teatrale. 10

Per Matthiensen, l’abitudine di Florio di vedere e dire le cose in tono teatrale è una delle sue qualità più evidenti:

“Il metodo del “drammaturgo”, quindi, consiste nel prendere una situazione e accentuarne l’intonazione con un’abile esagerazione di tono e con un accenno di azione nell’oscillazione e nella cadenza delle sue parole. Tale è anche il metodo di Florio, e permea il suo trattamento di Montaigne”.

Matthiensen, Translation, An Elizabethan art, pg 146

Un altro esempio è la traduzione solenne, drammatica, ritmica di questo passaggio, che ha l’influenza di Bruno:

Montaigne: “Encore se faut il testonner, encore se faut il ordonner & renger pour sortir en place.”

Florio: “Yet must a man handsomely trimme-up, yea and dispose and range himself to appeare on the Theatre of this world.”

Matthiensen sottolinea che:

“Il senso di Florio del drammatico è la forza centrale che modella la sua prosa. Essa determina non solo il modo in cui egli costruisce le vicende di Montaigne, ma anche la sua aggiunta di parole, non per il loro significato, ma per il loro ritmo. Quando Florio esalta un concetto, a volte è lo splendore, a volte il pathos, più spesso l’emozione pura della situazione che lo cattura.”

Matthiensen, Translation, An Elizabethan Art

RIDISEGNARE LA SCENA

Nella sua traduzione dei Saggi di Montaigne, Florio si immerge così profondamente nello spirito di una vicenda e la sente così fortemente che diventa sua. E non traduce più, ma riscrive la scena. “L’entree libre aux soldats”, per esempio, diventa “the needie, bloudthirstie and prey-greedie soldiers.” In ogni situazione è l’elemento di contrasto a focalizzare la sua attenzione, e lui lo sviluppa con l’istinto del drammaturgo, facendo di tutto per aumentarne l’effetto. 11 Gli esempi sono così comuni che possono essere scelti quasi a caso. Ma a volte, però, Florio supera se stesso. Allora la scena lo cattura così profondamente che sta praticamente scrivendo un nuovo libro. Ad esempio, nel saggio “Of Physiognomy”, in cui Montaigne racconta come, sebbene disarmato, il suo aspetto risoluto abbia spinto un capitano nemico a ritirarsi, l’immaginazione di Florio drammatizza il quadro in modo molto più completo: 12

Montaigne: “Il remonte à cheval, ses gens ayants continuellement les yeux sur luy, pour voir quel signe il leur donneroit: bien estonnez de le voir sortir et abandonner son advantage.” – IV, 203.

Florio: “What shall I say more? He bids me farewell, calleth for his horse, gets up, and offreth to be gone, his people having continually their eyes fixed upon him, to observe his lookes, and see what signe he should make unto them: much amazed to see him be gone, and wondring to see him omit and forsake such an advantage.” . III, 325

DOVE LE PAROLE SI SCATENANO

La ricchezza di parole inglesi che Florio aveva a comando è fenomenale. E forse l’esempio più sorprendente di tutti, in cui le parole si scatenano, eppure Florio riesce a mantenere la forza di unità e ad aggiungere pienezza e colore, è questo passaggio:

Montaigne: “L’avaricieux le prie pour la conservation vaine & tròr & superflue de ses: l’eux de sa fortune: le voleur l’employe à son ayde, pour franchir le hazard & les difficultez, qui s’opposent à l’execution de ses meschantes entreprinses: le oule ayde remercie de l’aisance qu’il a trouvé à desgosiller un passant. Au pied de la maison, qu’s s vont escheller ou petarder, ils font leurs prieres, l’intention et l’esperance pleine de cruauté, de luxure, &d’avarice.” – Io, 443

Florio: “The couvetous man sueth and praieth unto him for the vaine increase and superflous preservation of his wrong-gotten treasure. The ambitious, he importuneth God for the conduct of his fortune, and that he may have the victorie of all his desseignes. The theefe, the pirate, the mortherer, yea and the traitor, all call upon him, all implore his aid, and all solicite him, to give them courage in their attempts, constancie in their resolutions, to remove all lets and difficulties, that in any sort may withstand their wicked executions, and impious actions; or give him thanks, if they have had good successe; the one if he have met with a good bootie, the other if he returne home rich, the third if no man have seen him kill his enemie, and the last, though he have caused any execrable mischiefe. The Souldier, if he but go to besiege a cottage, to scale a Castle, to rob a Church, to pettard a gate, to force a religious house, or any villanous act, before he attempt it, praieth to God for his assistance, though his intents and hopes be full-fraught with crueltie, murther, covetise, luxurie, sacrilege and all iniquitie.” – I, 373-374.

IL FORTE SENSO DEL RITMO DI FLORIO

IIn nessuno di questi casi le aggiunte di Florio intasano il ritmo della sua prosa. Egli possiede un forte senso del movimento, e spesso introduce le parole solo per il gusto di farlo. 13. Non può concepire un modo di pensare senza un modo di ascoltare, cosicché i periodi avanzino in modo equilibrato, musicalmente decorati come lui sapeva fare e amava fare. Aveva un nobile senso del ritmo, dell’ascesa e della caduta dei periodi che si muovevano maestosamente verso il loro fine prefissato. 14 A volte raggiunge una ricca pienezza, a volte un movimento di forza e solennità:

Montaigne: “Mais a ce dernier rolle de la mort & de nous, il n’y a plus que faindre, il faut parler Francois; il faut montrer ce qu’il y a de bon et de net dans le fond du pot,” – I, 81

Florio: “But when the last part of death, and of our selves comes to be acted, then no dissembling will availe, then it is high time to speake plaine English, and put off all vizards: then whatsoever the pot containeth must be shewne, be it good or bad, foule or cleane, wine or water.” I, 70.

¶ I SAGGI DI MONTAIGNE: IL LIBRO PIÙ INFLUENTE

Florio ha saputo avvicinare i Saggi di Montaigne allo spirito del suo tempo, per dargli intimità e calore. Fu probabilmente uno dei libri più influenti mai pubblicati in Inghilterra. La genialità del successo di Florio fu così generalmente riconosciuta che anche quei lettori inglesi con un’ottima padronanza del francese – John Donne, Walter Raleigh, Francis Bacon, Robert Burton, solo per citarne alcuni – scelsero di conoscere Montaigne attraverso l’inglese di Florio.

ESSAYS di MONTAIGNE: BEN JONSON, RALEIGH, BURTON

Una copia dell’edizione del 1603 dei Saggi di Florio a Montaigne si trova al British Museum. Contiene la firma di Ben Jonson e il suo Timber mostra la sua influenza. Sir Walter Raleigh lo portò con sé nella Torre e vi meditò profondamente. Burton cita testualmente Florio nella sua Anatomy of melancholy. Il libro ha lasciato il segno sul drammaturgo Webster 15 Leggere i Saggi di Montaigne nella traduzione di Florio significa leggerli, per così dire, sulle spalle di uno dei più grandi scrittori inglesi. 16

Per Frances Yates:

“Chi può dire quanto il ricco tesoro della nostra lingua debba a questo italiano (la cui influenza era diffusa attraverso le sue lezioni) che ha lavorato con quel virtuosismo artistico che fu l’eredità di una civiltà più antica della lingua inglese, ancora in uno stato di incertezza quando venne in Inghilterra?”

Yates, F. p. 227

La straordinaria traduzione di John Florio è tra le grandi opere dell’inizio del XVII secolo, in testa insieme alla Bibbia di Re Giacomo – bella, sonora e melodiosa. John Florio era davvero un artista e la sua traduzione dei Saggi di Montaigne è un classico della letteratura inglese, secondo solo alla traduzione della Bibbia di Re Giacomo. La traduzione come arte raramente, forse mai, ha raggiunto un livello così alto come nel Montaigne di Florio.


¶ LEGGI LA TRADUZIONE DI JOHN FLORIO DEI SAGGI DI MONTAIGNE



Come citare questa voce:

“Resolute John Florio”, “Saggi di Montaigne”, URL: https://www.resolutejohnflorio.com/it/2019/11/23/montaignes-saggi/

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta il 13 novembre 2019. È stato modificato l’ultima volta il giorno 16 Gennaio 2020.

Note:
  1. Yates, F. A., John Florio The Life of an Italian in Shakespeare’s England, 1934, Cambridge At The University Press, p. 216
  2. Matthiensen, O., Translation, an Elizabethan art, Cambridge, Harvard University Press, p. 116
  3. Yates, F. A., John Florio, cit., p. 222
  4. Zaharia, Translata Proficit: Revisiting John Florio’s translation of Michel de Montaigne’s Les Essais, 2012, p. 125
  5. Yates, F. A., John Florio, cit., p. 223
  6. Zaharia, Translata Proficit, cit., p. 120
  7. Morini, M., Tudor Translation in Theory and Practice, Routledge, 2006, p. 88
  8. Ivi, p. 134
  9. Ivi, p. 137
  10. Matthiensen, Traduzione, cit., pg 146
  11. Ivi, p. 147
  12. Ivi, p. 148
  13. Ivi, p. 149
  14. Yates, F. A., John Florio, cit.,p. 239
  15. Ivi, p. 241
  16. Greenblatt, S., Shakespeare’s Montaigne: The Florio Translation of the Essays, A Selection, NYRB Classics, 2014, X